lunedì 30 marzo 2015

Breve storia dell'illuminazione

Adesso è facile: premiamo l'interruttore e la stanza si illumina. I lampioni stradali ci illuminano la via. All'occorrenza, prendiamo la torcia elettrica ed esploriamo la casa abbandonata. Se va via la corrente, ci lamentiamo che non possiamo giocare al computer.

Chi lo avrebbe mai detto, ma una volta non era così. E quindi, cosa si è inventato l'uomo per illuminare il buio? Facciamo una rapida carrellata dei mezzi di illuminazione adoperati in passato prima che Mr. Edison s'inventasse la lampadina.

Si è iniziato bruciando dei rami secchi, preferibilmente presi da piante resinose. Il passo successivo è stato intuitivo: fasciare assieme dei rami per avere la torcia.
Sembra che furono gli egizi a inventare la lucerna, dove uno stoppino pesca l'olio combustibile da un contenitore. Facile. Purtroppo consumava tanto olio e generava una luce rossastra che produceva fumo. Il combustibile era olio vegetale, grasso animale o petrolio, nei posti dove affiorava liberamente.

Il rivale della lucerna fu la candela, la cui invenzione è attribuita a qualche tribù celtica. Il combustibile per la candela era grasso animale mischiato a paglia o cere animali o vegetali solide. Le candele si diffusero molto al nord, mentre nei paesi che davano sul Mediterraneo, vista la disponibilità di olio, veniva più usata la lucerna.

Col XV secolo si inizia a parlare di illuminazione pubblica: nel 1417 il Sindaco di Londra ordinava che ogni casa avesse esposta all'esterno una lanterna durante le notti invernali. Nel 1524 abbiamo una legge simile anche a Parigi. Niente di incredibile: il grosso delle città restavano al buio ed era pericoloso girare di notte, ma almeno la gente riconosceva la necessità di illuminare le strade.
Nel 1765 Bourgeois di Châteaublanc aggiunse un riflettore metallico a una lanterna costruendo il cosiddetto riverbero, mentre nel 1783 Argand ideò la lampada che porta il suo nome, una versione migliorata della lanterna, che permetteva una luce più bianca e una migliore combustione (significa che faceva meno fumo). La Lampada Argand possedeva un becco di nuova concezione, 


costituito da due piccoli cilindri concentrici di metallo tra i quali correva uno stoppino in forma di nastro (in grado di abbassarsi e alzarsi secondo il bisogno) e di un tubo di vetro perfettamente cilindrico dalla base alla sommità. La fiamma anulare della nuova
lampada veniva così avvantaggiata da una doppia aerazione, interna ed esterna, e il beneficio era ulteriormente accresciuto dal tubo che accelerava la velocità delle due correnti d’aria.

La citazione è tratta da "L'illuminazione attraverso i tempi" a cura della Fondazione Neri.

Da Argan in poi fu tutto un susseguirsi di invenzioni e miglioramenti con nuovi modelli di lampade a olio. Ci furono anche alcuni miglioramenti nella tecnologia della candela, con l'introduzione della candela stearica nel 1818 e l'invenzione dello “stoppino perfetto” nel 1835.

E veniamo al gas. Si sapeva già dal 1667 che il gas di carbon fossile era infiammabile, grazie alla relazione intitolata A Description of a Well and Earth in Lancashire taking Fire, by a Candle approaching to it. Imparted by Thomas Shirley, Esq an eye-witness. Detto altrimenti: vi racconto come per poco non saltavo per aria.

Nel 1792 abbiamo la prima casa illuminata a gas, quella di William Murdoch (foto a sinistra), che bruciava il gas prodotto dalla distillazione del carbone della fonderia dove lavorava, la Soho Foundry. Visto che dopo 6 anni la casa non era ancora saltata in aria, nel 1798 la fonderia venne illuminata a gas, e nel 1802 l'esterno della stessa.

Filippo Lebon illuminò casa sua usando gas derivato del legno nel 1801, ma il povero Filippo morì pochi anni dopo: la mattina del 3 Dicembre 1804 fu trovato morto in strada, assassinato. Forse se la strada fosse stata illuminata... 

Tra i primi posti illuminati a gas da Murdoch abbiamo anche le fabbriche di motori a vapore Watt&Boulton e la filatura del lino di Philipps&Lée: l'illuminazione a gas non produceva scintille ed era quindi l'ideale per le industrie tessili o per tutte le fabbriche costruite in legno.

Da questo punto in poi per il gas è stata un'escalation: nel 1807 abbiamo la prima strada illuminata a gas (Pall Mall a Londra). Nel 1816 Baltimora negli USA viene illuminata a gas mentre nel 1820 tocca a Parigi. Entro pochi decenni l'illuminazione a gas diventerà lo standard.

Non tutti erano felici della novità. Papa Gregorio XVI proibì l'illuminazione pubblica nei territori dello Stato Vaticano, per i soliti motivi: la notte era stata voluta da Dio, e con delle luci innaturali la gente si sarebbe potuta riunire a complottare contro il Papa.

Nasce un nuovo mestiere: il lampionaio.

In blusa turchina con sopravveste e berretto municipale in testa, portava con sé una lunga pertica all’estremità superiore della quale era fissata una speciale lampada munita di gancio, detta appunto “lampada d’accenditore”, che gli consentiva, senza l’ausilio di una comune scala in legno (impiegata solo all’inizio di questa fase e per un periodo molto breve), di aprire dal basso verso l’alto lo sportellino inferiore in vetro della lanterna, girare la chiavetta del gas e provocare l’accensione mediante un’esca accesa che il lampionaio provvedeva a mantenere viva soffiando di tanto in tanto aria attraverso una pompetta di gomma.
La citazione è tratta da "L'illuminazione attraverso i tempi" a cura della Fondazione Neri.

Quindi per l'illuminazione pubblica si usava il gas. E per le lampade portatili? Non è che si poteva andare in giro con una bombola di gas o un tubicino collegato alla rete di distribuzione. Le lampade portatili continuavano a bruciare olio, e nell'800 si usava molto l'olio di balena (no dico, avete presente Moby Dick?). Proprio per sostituire l'olio di balena si cercò di ricavare dell'olio dal carbone (1846)... ma il risultato era troppo costoso. Nel 1850 si riuscì a ricavare il kerosene dal carbone bituminoso.
Nel 1859 il buon Drake scava il primo pozzo petrolifero in Pennsylvania. Il 70% del greggio prodotto viene distillato in kerosene per lampade. Il 25% restante (mettiamo un 5% di perdite) era composto da frazioni troppo leggere o troppo pesanti per avere una buona combustione. Le frazioni leggere (le nafte o gasoli) trovavano impiego come solventi o anestetici, visto che ancora non c'erano in giro molti motori a scoppio. Ma stiamo parlando di illuminazione, i motori a scoppio sono un'altra storia.

E poi un giorno arrivò Edison.

domenica 22 marzo 2015

Le Porte di Anubis

Ho letto di recente Le Porte di Anubis di Tim Powers, pubblicato nel 1983 e considerato uno dei capostipiti del genere steampunk. E a leggerlo, mi domando come mai sia considerato come steampunk. Ma la risposta la sappiamo: solo perché Jeter ha coniato il famoso termine per descrivere anche i romanzi di Powers.

Ma torniamo al romanzo. Ecco la trama, come riportata da Wikipedia:

Brendan Doyle, il protagonista, viene ingaggiato da un miliardario mezzo pazzo per tenere una conferenza a una decina di altri miliardari sull'ottocentesco poeta inglese Coleridge, col dettaglio che a tale conferenza seguirà una "visione dal vivo" delle capacità di questo autore, grazie a "un salto nel tempo". Tale saltello riuscirà ma le cose non fileranno affatto lisce da questo momento in poi e il protagonista si troverà a passare da un guaio all'altro cercando di tirarcisi fuori e di sopravvivere ad una realtà in cui è un vero e proprio straniero.

Chi si accosti alle Porte di Anubis aspettandosi uno steampunk alla Jeter resterà deluso. Non ci sono macchine strane, non c'è tecnologia futuristica alimentata a vapore. C'è invece tanta magia, che permette anche di viaggiare nel tempo. Perché non tutti hanno tempo e voglia di costruirsi una macchina del tempo con ingranaggi, manopole e dischi rotanti.

Manca il lucido degli ingranaggi e il buon odore dei lubrificanti, ma in compenso il protagonista Brendan Doyle si becca il peggio della Londra del 1810: la sporcizia, la miseria, le corti del mendicanti e dei loro protettori. Ai quali aggiungiamo loschi personaggi quali il Dottor Romany o il Clown Horrabin, immischiati con la magia nera.

L'avventura tira dritta, senza dirigibili ma con qualche stregone che decolla (leggete il romanzo per capire), e con ulteriori viaggi nel tempo, scambio di corpi, divinità egizie reincarnate (ma preferivo il Nikopol di Bilal) e paradossi temporali.

È un romanzo solido, credibile, che aggiunge quanto basta al 1800 presentandoci quell'epoca dal punto di vista più umile e basso possibile, senza debordare in ucronie tecnologiche o realtà alternative. 

venerdì 13 marzo 2015

L'evoluzione del design delle astronavi nella fantascienza - Gli Anni '80

Nella mia serie di post sull'evoluzione del design delle astronavi nella fantascienza, ero arrivato agli anni '70. Tocca ora agli anni '80.

E qui le cose si fanno un po' complicate. Io sono nato e cresciuto negli anni '80 (lo so, non è una cosa della quale vantarsi), e per l'eccessiva vicinanza e per mio personale coinvolgimento in quegli anni, mi è difficile mantenere la dovuta prospettiva storica. Essendo noi ancora così vicini agli anni '80, ho anche delle difficoltà a cogliere dei trend generali, come per esempio ho fatto con i razzi e i dischi volanti degli anni '50.

Proviamo lo stesso. Negli anni 80 si sono moltiplicati i film e le serie tv di fantascienza, e in proporzione si sono moltiplicati i modelli di astronavi adoperate. Cercherò di portare gli esempi più interessanti o particolari, chiedendo scusa a quei capitani le cui astronavi, per quanto degne di essere nominate, non ho preso in considerazione.

Iniziamo subito con la prima, e per ora unica, astronave con le tette, la Nell di Battle Beyond the Stars (in Italiano, I Magnifici Sette nello Spazio), orrido filmone trash, brutta copia di Guerre Stellari, che Jimmy T. Murakami e Roger Corman hanno diretto nel 1980.



È un'astronave. Color carne. Con le tette. Iniziamo bene gli anni '80, che dite?

Per fortuna Sean Connery, l'hanno successivo, ci fa dimenticare la Nell recitando nella trasposizione fantascientifica di Mezzogiorno di Fuoco, Outland (Atmosfera Zero in italiano). Nel film l'unico veicolo spaziale che compare è un semplice shuttle. Ha un ruolo marginale, ma mi è rimasto impresso per come è stato realizzato. È un ottimo esempio di funzione industriale vs forma.


Lo shuttle è composto solo da un carico attaccato a dei razzi, la superficie è ricoperta di greeble (le irregolarità che si aggiungono per rendere le superfici più dettagliate). Nel complesso risulta abbastanza inquietante, sembra un'evoluzione deviata dei moduli Eagle di Spazio 1999 (dei quali abbiamo parlato nella puntata precedente).

Nel 1982 esce La Cosa (The Thing) che in questa sede ricordiamo per il disco volante con il quale il mostro del titolo arriva sulla Terra. Il film non mostra molto l'astronave, e per godercela tutta dobbiamo vedere le foto del modellino. Lo cito qui per il disegno azteco presente sulla sua superficie, analogo a quello della nuova Enterprise di tre anni prima. Umani o alieni, per dettagliare una superficie senza aggiungere greeble si ricorre sempre allo stesso trucco.


Saltiamo un paio d'anni, e passiamo a Giochi Stellari (The Last Starfighter, regia di Nick Castle). Ricordiamo la Gunstar non solo perché è figa, ma anche perché realizzata al computer.


La compagnia Digital Productions realizzò ben 27 minuti di CGI usando un computer Cray X-MP. Leggiamo su wikipedia:

For the 300 scenes containing computer graphics in the film, each frame of the animation contained an average of 250,000 polygons, and had a resolution of 3000 × 5000 36-bit pixels. Digital Productions estimated that using computer animation required only half the time, and one half to one third the cost of traditional special effects.

Iniziamo ad abituarci: la CGI verrà sempre più utilizzata negli effetti speciali e nella realizzazione dei modelli usati nei film di fantascienza.

Nel 1985 esce 2010, il seguito di 2001: Odissea Nello Spazio. So che l'idea di un seguito del film di Kubrick suona eretica, blasfema, ridicola e qualsiasi altro aggettivo vogliate usare, ma tralasciamo il giudizio sul film e concentriamoci sull'astronave Leonov.



La Leonov è stata creata da Albert Brenner e Syd Mead, e secondo me rappresenta bene il punto di vista americano sull'evoluzione futura del design tecnologico russo degli anni '80.
Troppo complicato? Allora mettiamola così: è puro sovietpunk, essendo un'astronave sovietica del 2010.

È brutta, come la Nostromo di Alien. Ha una sezione rotante, per generare la gravità, ben visibile dall'esterno. A pensarci bene, è proprio la sezione rotante che rende l'astronave così viva. Infine, il suo design ha ispirato le astronavi classe Omega di Babylon 5. Non male, vero?

L'anno successivo abbiamo Flight of the Navigator, con un'astronave esattamente opposta alla Leonov. Ideata da Bill Creber, e realizzata con la CGI da Jeff e Randall Kleiser, quest'astronave ha una superficie liscia, lucida, cromata, che richiama certi aspetti dell'art decò degli anni '50. La CGI permette di realizzare un velivolo che riflette l'ambiente circostante e che può cambiare forma. Di fatto anticipa di cinque anni l'effetto speciale del metallo liquido di Terminator 2.



Nel 1986 abbiamo anche la Sulaco di Aliens. L'astronave che porta i marines su LW-426 è un buon esempio di design militar-spaziale, che troverà numerose ispirazioni nei decenni successivi, specialmente nel campo dei videogiochi. Il design della Sulaco è ispirato sia a quello di un fucile sia  a quello dei sottomarini da guerra. James Cameron aveva brevemente descritto l'arrivo della Sulaco come:
a forest of antennae enter the frame, followed by the enormous bulk of the SULACO.
Ron Cobb concepì all'inizio una sfera da cui si protendevano della antenne, ma l'astronave così ideata non figurava bene sullo schermo. Si passò quindi al design che conosciamo, rigido, meccanico, che urla "esercito" da tutti i greeble.


E Star Trek? Possiamo dimenticare Star Trek? Assolutamente no. L'Enterprise non è andata in pensione negli anni '80, con ben tre film e una nuova serie televisiva, The Next Generation, iniziata nel 1987.
Ricordiamo qui Star Trek III: Alla Ricerca di Spock, perché introduce l'Uccello Predatore klingon, astronave destinata a un grande successo nel franchise di Star Trek, tanto da ricomparire in quasi tutte le successive serie televisive e film. Il Bird of Prey ricorda un uccello, con tanto di piume rappresentate sulle sue ali meccaniche. Il design deriva all'omonimo Bird of Prey romulano: infatti originariamente doveva essere un'astronave romulana rubata dai klingon.


E veniamo all'Enterprise-D, la reincarnazione degli anni '80 della celebre astronave.


Le forme dritte, nette e precise dell'Enterprise originale lasciano spazio a curve organiche. Mentre l'originale era una serie di forme geometriche attaccate assieme (cilindri, parallelepipedi, dischi), la "D" è un tutt'uno compatto dove si passa dalla sezione a disco a quella motori alle gondole di curvatura senza soluzione di continuità.

Meritano un cenno anche gli interni. Il concept originale del ponte di comando della "D" non prevedeva terminali o altro genere di interfacce con la strumentazione di bordo: i personaggi avrebbero dovuto interagire con il computer solamente tramite comandi vocali. Avevano anche immaginato di abbellire l'ambiente con delle piantine da appartamento. Sul serio. L'idea deve essere sembrata esagerata, tanto che furono introdotte le console di comando.


Il ponte di comando, comunque, con le sue superfici in legno, le sue linee curve, i suoi tappeti, non sembra essere il centro di controllo di un'astronave: l'atmosfera è molto più rilassata e informale, come si addice a un'astronave da esplorazione che porta anche delle famiglie a bordo. È stata definita una sala per cocktail spaziale, un Hotel Hilton tra le stelle.

The Next Generation introduce anche gli schermi LCARS, che anticipano di qualche decennio i touchscreen degli smartphone.


Parlando di TNG, ha senso spendere due parole per un altro paio di astronavi introdotte in questa serie.
La prima è l'astronave da battaglia romulana di classe D'deridex, dal design impressionante e dall'estetica minacciosa.



La seconda astronave è altrettanto minacciosa e inquietante, pur avendo una forma geometrica semplice. Stiamo parlando ovviamente del cubo Borg, che getta via centocinquanta anni di evoluzione del design delle astronavi. È pura funzione a scapito di qualsiasi estetica. C'è la completa assenza di direzione, ordine, gerarchia delle parti. Il cubo vola nello spazio. Fine della storia. La resistenza è inutile.


Negli anni '80 abbiamo visto un po' di tutto, e siamo passati dall'astronave con le tette al cubo Borg. In mezzo, ogni cosa possibile immaginabile. Lascio a voi ogni commento o giudizio.

lunedì 9 marzo 2015

Among The Sleep

Questa settimana vi consiglio il videogioco Among the Sleep, creazione dello sviluppatore norvegese Krillbite Studio.
Among the Sleep...

è un survival horror in prima persona che ha come protagonista un bambino di due anni. Una sera, dopo essere stato messo nella culla dalla madre, il bambino si sveglia e inizia a vagare per la casa. La madre sembra essere sparita e ci si accorge presto della presenza di qualcosa di oscuro. In breve ci si trova catapultati in una dimensione onirica piena di mostri e puzzle da risolvere.
Potete leggere il resto della mia recensione su Horror Magazine.

Alcuni screenshot del gioco: