venerdì 28 ottobre 2016

Stranimondi 2016

Alla fine pure io sono andato a Stranimondi. Prima o poi doveva capitare. Meglio togliersi subito il pensiero: quest’anno sono riuscito a scavare un paio di giorni liberi tra gli impegni di lavoro, in futuro chissà.

Ero presente per un giorno e mezzo, sono arrivato a Milano la mattina presto e sono subito andato alla sede dell’UESM per iscrivermi. La sera ho dormito in un alberghetto che a leggere le recensioni avrebbe dovuto essere poco più di uno scopatoio, ma che in realtà era abbastanza dignitoso.

Ero a SM principalmente per fare un po’ di “networking”, che nel mio caso consisteva nel riconoscere il nome sul cartellino di qualcuno, presentarmi, dire al qualcuno in questione che lo conoscevo perché seguivo il suo blog / pagina facebook / letto i suoi libri e restare lì mezzo minuto senza sapere che altro dire (per fortuna parlavano gli altri), salutare e ripetere.

Sono stato riconosciuto solo una volta e mezza. La prima volta da parte di Lanfranco Fabriani, al quale va la mia eterna gratitudine per non avermi fatto sentire un nulla in mezzo alla folla, ma per essere stato lui a riconoscere il mio nome e salutarmi. Poi c’era una ragazza alla quale il mio nome ricordava qualcosa, ma non era in grado di focalizzare cosa.
Meglio così.

Ho colto l’occasione per fare rifornimento di libri. Non che ne avessi vero bisogno: a casa sono pieno di libri che devo ancora leggere. Ma già che c’ero…

Sono andato allo stand della Plesio Editore. Non avevo un motivo preciso, ho scelto caso. Dietro il banchetto c’erano un ragazzo e una ragazza.
Ho subito espresso chiaramente la mia necessità:
- Vorrei un libro.
I due si sono guardati perplessi. La ragazza ha preso la parola: - Che genere di libro?
E io: - Uno tosto.
Con questo li ho messi in difficoltà.
- Che autori ti piacciono?
Ecco, qua si iniziava a ragionare. Ho snocciolato un lista di autori, italiani e non. Ma questo non li ha aiutati aiutarli. La ragazza si è messa a parlarmi di un libro da loro pubblicato, L’Ultimo Khama, di Stefano Andrea Noventa. Alle parole “scritto da un fisico” l’ho gentilmente interrotta: - Mi hai convinto. Lo prendo.
Il ragazzo si è quasi messo a piangere. Era l’autore di un altro dei libri in mostra. Gli è andata male. Però mi ha parlato del suo libro, Nytrya.
Me lo segno per il futuro...

Tra i vari ospiti c’era Alastair Reynolds. L’ho incontrato che osservava le vetrine all’ingresso. C’erano i modellini di alcune astronavi di Battlefleet Gothic. Ho attaccato bottone e gli ho spiegato come alcune parti di quelle astronavi fossero copiate da motori diesel a due tempi di tipo marino. Insomma è evidente, si vedono chiaramente gli sportelli per accedere ai vari vani e gli attuatori per le valvole di scarico. Mr Reynolds non è rimasto particolarmente colpito dalla cosa, devo dire.
A proposito di Reynolds, eravamo nella toilette dei gentiluomini quando Reynolds esce dal cesso con faccia sconvolta. Qualcuno gli chiede: - C’era un mostro?
E lui ha risposto: - Adesso sì.
Mi è bastato questo: ho comprato un suo libro.

Su suggerimento di Jacopo Berti (compagno di viaggio per l’occasione) ho preso “Dimenticami Trovami Sognami” di Andrea Viscusi.
Su suggerimento di Maico Morellini ho preso “Voci dalla Polis” di Maico Morellini. Ma ho il sospetto che il suo non sia stato un consiglio completamente disinteressato.
Come già detto, ho preso l’ultimo di Alastair Reynolds, L’Ultimo Cosmonauta. E infine, come da scenetta sopra, il libro del Noventa.

Il pomeriggio di domenica l’ho passato a zonzo per Milano. Scartando Duomo (troppa fila) e mostra di stampe giapponesi (troppa fila), sono andato alla Pinacoteca Ambrosiana, dove – sorpresa! – ho trovato una delle quattro versioni del Bacio di Hayez. In generale la quiete della Pinacoteca mi è servita per rilassarmi dalla folla e dalla confusione di Stranimondi.

Nel complesso Stranimondi è stata una bella occasione per conoscere tutti quei personaggi che di solito sono sempre e solo dei nomi su uno schermo, partecipare a degli incontri interessanti e portare a casa qualche libro.

E adesso a noi, Science Plus Fiction!

martedì 11 ottobre 2016

L'evoluzione del design delle astronavi nella fantascienza - Gli anni 2000

Con questa serie di post sull'evoluzione del design delle astronavi siamo ormai arrivati ai giorni nostri, ovvero agli anni, ormai quasi due decenni, dopo il 2000. È molto difficile cogliere già dei trend generali, visto che ci siamo dentro fino al collo.
Vedrò quindi di fare un panoramica sulle principali astronavi proposte al pubblico in questi ultimi anni, spiegando se possibile come si sia giunti alla realizzazione dei loro design.

Realismo
Iniziamo con una serie di astronavi considerate "realistiche" e viste in film ambientati in un futuro prossimo. Sono velivoli realizzabili in teoria con le tecnologie disponibili al giorno d'oggi, e quindi non presentano capacità di volo a velocità superiore a quella della luce.
Quello che tutti questi velivoli hanno in comune è la forma allungata, che risulta la conclusione logica degli stessi ragionamenti che avevano portato alla creazione della Discovery di 2001.
Le astronavi Icarus di Sunshine (2007) e la Antares della serie tv Defying Gravity (2009) hanno questa forma, alla quale si aggiunge uno scudo a prua usato per proteggere il vascello dal calore del sole (Sunshine) e da possibili microimpatti (Defying Gravity).

Antares

Icarus

Delle due la nostra simpatia va alla Icarus, perché è palpabile in tutto il film la sua fragilità in confronto alla forza distruttrice del sole. Lo scudo color oro è ispirato a quello che hanno le sonde spaziali per riflettere il calore, mentre gli interni prendono spunto da una lunga serie di modelli cinematografici: Das Boot, Solaris (quello di Tarkovsky), 2001, Alien, Dark Star, Event Horizon...

La Venture Star di Avatar (2009) è destinata al volo interstellare, anche se non dispone di motori a curvatura. Compie un lungo viaggio di anni a velocità prossime a c per raggiungere la lontana luna Pandora. Per creare la Venture Star James Cameron, assieme al suo team di designer 3D, composto da Joe Hiura, Tex Kadonaga e Rob Johnson, ha lavorato sodo per creare un velivolo realistico per coprire lunghe distanze. Ha una struttura allungata, con motori, radiatori per dissipare il calore, moduli per la gravità artificiale e scudi protettivi. Per accelerare verso Pandora la nave utilizza la sua vela fotonica e un laser che la spinge dalla Terra. Per rallentare utilizza dei motori materia/antimateria. È forse dai tempi di 2001 che non si studiava così bene il funzionamento di un'astronave per un film, ma sappiamo che Cameron ama questo genere di dettagli.

Abbiamo poi il film Interstellar (2013), dove appaiono due tipi di astronavi: lo shuttle Ranger e il velivolo Endurance.

Il Ranger è ispirato allo Space Shuttle della NASA, di cui riprende lo schema di colori (nero e bianco) e la superficie composta da piastrelle antitermiche. La forma è però più slanciata. I propulsori, di forma rettangolare invece che tonda come sullo shuttle, sono ispirati a quelli previsti in alcuni progetti di velivoli spaziali, come l'X-33 Venture Star.


L'Endurance è il velivolo usato per i lunghi viaggi, compreso l'attraversamento del wormhole. È un design estremamente logico nella sua semplicità. Perché avere un'astronave con una sezione rotante per generare la gravità quando possiamo far ruotare l'intera astronave? L'Endurance è una ciambella volante, ma fa il suo lavoro e quindi non ci lamentiamo.



L'Età dei Sequel
Alcuni sostengono che viviamo nell'Età dei Sequel, comprendendo in questo anche reboot, prequel e adattamenti vari. Vien da credere che sia vero. Hanno preso e lavorato su Star Trek (prequel, reboot, e presto un altro prequel), Star Wars (prequel e sequel) e Battlestar Galactica (reboot), mettendo mano ai design originali delle astronavi per creare qualcosa di "nuovo ma già visto" o "classico ma mai visto" e combinazioni varie.

Iniziamo con Battlestar Galactica (2004), che voglio prendere come esempio per illustrare la differenza tra modello reale e modello digitale.

Il Galactica originale

Il nuovo Galactica

Il Galactica originale è ricco di dettagli, e i dettagli sono asimmetrici. Questo perché frutto del kitbashing e dell'aggiunta a mano del dettaglio. Strutture di ordine di grandezza superiore sono invece simmetriche.
Il nuovo Galactica, realizzato al computer, è costituito da forme più lisce come i pannelli ripetuti asimmetricamente sulla superficie dell'astronave. Mancano invece dettagli di ordine di grandezza inferiore.

Star Wars
I prequel di Star Wars (Ep. I: 1999, Ep. II: 2002, Ep. III: 2005) falliscono completamente nel presentare un'astronave che sia veramente memorabile, per design, rappresentazione e carattere, come invece fatto con successo dalla trilogia originale.
Perché?
Ci sono vari motivi. Intanto nessuna astronave, con qualche rara eccezione, appare in tutti e tre i film. Le astronavi non hanno personalità. Sì, hanno un design particolare che tra poco andiamo a studiare, ma non hanno una personalità che deriva dal loro comportamento e dal modo con cui si relazionano i personaggi con esse.
Se guardiamo la trilogia originale, i protagonisti dovevano interagire con e reagire al Millennium Falcon, che così diventava personaggio esso stesso. Le astronavi di questa trilogia sono poco più di mezzi per portare i personaggi in giro per la galassia. Cioè: sono astronavi e questo è quello che devono fare, ma da un prodotto di narrativa ci si aspetterebbe qualcosa di più.
Non aiuta l'uso della CGI. I modelli reali avevano un'aria vissuta, mentre i modelli digitali, come già visto precedentemente, sono troppo "puliti". E questo ha penalizzato un po' tutte le astronavi dei prequel, oltre alla ricerca forzata di "antecedenti" delle astronavi viste nei primi film della saga.

Ma lasciamo da parte simili critiche per vedere da dove sono venuti fuori i design di queste astronavi.
Per i velivoli Naboo l'ispirazione sono state le superfici curve e cromate degli anni 50.

Lo Star Destroyer di classe Venator e l'astronave da attacco di classe Acclamator sono semplici rielaborazioni del design originale.



La Invisible Hand, l'astronave di classe Providence usata dal generale Grevious nel terzo episodio, ha una forma ispirata a quella di un dirigibile, con l'aggiunta della così detta "Torre dello Stregone", dove il Cancelliere Palpatine viene tenuto prigioniero.


Finiamo con le navi di battaglia Lucrehulk della Federazione Commerciale. Dalla Star Wars Wiki apprendiamo che:
"George Lucas wanted the battleship to have a retro-saucer look, but felt it needed a distinct sense of front and rear. Doug Chiang achieved this in early concept art by adding the antennae and docking section to one side, and a set of engines to the other. Lucas himself added the "bridge ball" to the center for the finished design "



Star Trek
Quando hanno deciso di realizzare una serie di Star Trek ambientata un secolo circa prima delle avventure di Kirk&Co, gli autori Rick Berman e Brannon Braga si sono trovati una bella gatta da pelare. Da un lato dovevano creare una serie di fantascienza ambientata 90 anni nel futuro rispetto al 2001, dall'altro lato il design doveva poter dare l'impressione di essere un 100 anni antecedente a quello che negli anni '60 sarebbe stato il XXIII secolo. Complicato, vero?
Ma avevano le idee chiare, almeno sulla carta: "More rocketship than starship, Enterprise is lean and masculine – yet its deflector dish and twin warp nacelles suggest the shape of Starfleet vessels to come." Questa la descrizione nella prima bozza della sceneggiatura di Broken Bow (primo episodio della serie).
Per schiarirsi le idee si sono studiati l'Enterprise originale e le varie astronavi apparse nel corso della storia della Flotta Stellare, al fine di stabilire una linea di evoluzione e un punto di partenza, che avrebbe dovuto essere l'Enterprise NX-01 della serie omonima.
John Eaves creò ben 40 modelli diversi di Enterprise, lavorando fino ad avere un esaurimento. Venne affiancato da Doug Drexler, che produsse altri modelli.
Poi uno dei produttori vide per caso una foto della USS Akira, già apparsa in Primo Contatto, e disse chiaro e tondo: "Usate questa, così com'è". Il team di artisti obiettò, e alla fine uscì con il design noto, un compromesso tra i desideri dei produttori e il recupero filologico della Flotta Stellare.
La forma dell'astronave, con la sezione a disco che si separa nelle due gondole, è ispirata al Lockheed P-38 Lightning, mentre le gondole a curvatura sono praticamente quelle usate dalla Phoenix (la prima astronave terrestre a curvatura nell'universo di Star Trek) nel film Primo Contatto.
Per gli interni della NX-01 hanno preso ispirazione dagli interni della Stazione Spaziale e dai sottomarini, ibridando il tutto con il design della Serie Classica.


Se creare l'Enterprise per i prequel è stato difficile, potete immaginare crearne una per un reboot della serie.

L'ingrato compito è toccato a Ryan Church, che in precedenza aveva già lavorato su Star Wars
Episode 2: Attack of the Clones, War of the Worlds, Star Wars Episode 3: Revenge of the Sith e Transformers. JJ Abrams e il production designer Scott Chambliss hanno le idee semplici e chiare su cosa vogliono: “una nuova Enterprise”. Church si è sbizzarrito, proponendo decine di design, dal “fedele alla tradizione” al “mai visto prima”. Alla fine si sono orientati su un design ispirato all'astronave originale e al suo refit. Non è una rielaborazione dell'Enterprise originale, come poteva essere la “D” vista in The Next Generation: qua si sono limitati a prendere gli elementi originali e “caricarli” e “aggiungere curve” dove meglio pareva. Per farlo Church si è ispirato alla macchine hotrod, e alla sua passione per il design aeronautico e automobilistico degli anni 50 e 60.
“Look at these airplanes” dice in un'intervista “they're beautiful and subtle and curvy and it's all engineering. Not a single line on a Raptor or Eagle is arbitrarily or aesthetically chosen; every line is the result of a hundred tradeoffs and compromises between the demands of the mission and the engineering, cost, aerodynamic, weight, fabrication and a million other considerations. It's the way fairly simple large shapes are made more complex by their interaction and the way they blend together. And all the while having these long accelerating curves — not constant radius or simple extruded shapes which are pretty boring.”

Ricordiamo, nello stesso film, anche la Jellyfish usata dallo Spock anziano, un design alieno e organico con componenti rotanti.




Per fortuna il nuovo millennio ci ha portato anche qualche astronave nuova. Iniziamo dalla Serenity vista in Firefly (2002), splendida ma sfortunata serie creata da Joss Whedon. L'astronave è stata ideata da Whedon stesso, ispirandosi alle forme delle libellule e degli uccelli. Il modello finale è stato realizzato dal designer di produzione Carey Meyer e dal supervisore degli effetti speciali Loni Peristere. La prima idea di Whedon è stata quella di avere un'astronave con il cesso, tanto per chiarire subito il taglio realistico dell'astronave e della serie. Non è un'astronave tirata a lucido come l'Enterprise, la associamo idealmente al Millennium Falcon di Star Wars.
La propulsione della Serenity avviene grazie al grosso reattore di coda, mentre le due gondole permettono al vascello di manovrare sulle superfici planetarie.

Non è la sola astronave vista in questi ultimi anni ad avere gondole mobili. Dieci anni dopo Firefly, la USCSS Prometheus vista nel prequel di Alien dallo stesso nome (2012) presenta ben 4 motori montati su due gondole, cosa che permette al vascello di assumere una configurazione specifica per il volo e per l'atterraggio. C'è poco altro da dire sul vascello (e in effetti anche sul film): è in parte basato su idee scartate per la Nostromo del primo Alien; gli interni hanno quel tocco di “vissuto” che caratterizzava anche le astronavi dei primi due film della serie.

Ricordiamo qui anche un paio di astronavi interessanti apparse nei film della Marvel. In Thor 2 appare la Flagship degli Elfi Oscuri, che si distingue per il suo notevole sviluppo in verticale. In Guardians of the Galaxy l'astronave più interessante è la Dark Aster del kreel ribelle Ronan, che presenta invece un notevole sviluppo orizzontale trasversale, con la ripetizione geometrica di dettagli superficiali che la rendono simile a una cattedrale volante.

Astronave degli Elfi Oscuri

Dark Aster

Direi che per il momento possiamo finire qua. Di sicuro scriverò in futuro altri post sulle astronavi – sono uno dei miei argomenti preferiti – ma la carrellata storica finisce qua. Come dite? I nuovi film di Guerre Stellari? Il nuovo telefilm di Star Trek? Beh, è un po’ presto per discuterne…