sabato 18 marzo 2017

Astronavi giapponesi

Dopo la serie di articoli sulla storia del design delle astronavi, invece di chiudere il discorso ho deciso di scrivere alcuni post su alcuni argomenti più specifici, sempre però riguardanti le astronavi della fantascienza.

Nei post ho parlato quasi prevalentemente di astronavi apparse al cinema, prendendo in considerazione per la maggior parte film hollywoodiani. Tanto per allargare il discorso, vediamo oggi quali astronavi sono state partorite dalla fantasia degli autori e dei disegnatori giapponesi.

Su internet si trova molto materiale su manga e anime, e più in generale sulla cultura giapponese. Purtroppo non ho trovato fonti che parlino nello specifico delle astronavi nella fantascienza giapponese. Per scrivere questo articolo sono ricorso ai miei ricordi d'infanzia e agli articoli relativi alle singole serie. Non arrabbiatevi quindi se non ho inserito la vostra serie anime o manga preferita.

Il discorso non può che cominciare che da Leiji Matsumoto. La tripletta Galaxy Express 999, Capital Harlock e Yamato sono la base di chiunque sia cresciuto a partire dagli anni '70. Almeno lo spero per lui.

In Galaxy Express 999 (1977) abbiamo un treno spaziale (e già con questo potrei chiudere qui il post). L'idea era venuta a Leiji leggendo il romanzo di Ginga Tetsudo no Yoru (Una Notte sul Treno della Via Lettea) dell'autore giapponese Kenji Miyazawa (1927). La locomotiva è ispirata alla JNR C62 giapponese.


 Viene la tentazione di bollare l'idea di un treno spaziale come fantasia... ma qualcuno l'ha proposto veramente: si tratta dello StarTrain capace di lanciare in orbita fino a 300000 tonnellate di materiale, anche se l'idea somiglia molto più a uno space lift che a un treno vero e proprio.


Mentre il Galaxy Express 999 era ispirato a un treno, scelta alquanto singolare per un'astronave, la Yamato (Uchu senkan Yamato, Star Blazers, 1974) è ispirata all'omonima nave da guerra giapponese affondata nel 1945.


In Capitan Harlock abbiamo l'Arcadia, o meglio le due Arcadia, la Blu e la Verde, molto diverse tra loro. L'esistenza di due Arcadia va imputata a motivi sull'uso dei diritti del modello della nave. Come apprendiamo da Wikipedia: "all'epoca l'azienda giapponese produttrice di giocattoli Takara Co., Ltd. possedeva i diritti dei modelli di Capitan Harlock mentre la rivale Bandai Co. possedeva i diritti dei modelli di Galaxy Express 999, un'altra fortunata serie di Leiji Matsumoto. Quando Harlock doveva comparire nei primi numeri di Galaxy in un cammeo, la Bandai ottenne dallo Studio Nue una versione alternativa della nave, la "Verde" appunto, per evitare pubblicità gratuita alla concorrenza "
La mia preferenza va alla versione verde, perché andare in giro con un teschio sulla prua è da veri duri.


Da notare come sia la Yamato che l'Arcadia sono astronavi con delle forme che tradiscono chiare ispirazioni navali. 
Per restare in ambito piratesco ricordiamo anche la Queen Emeraldas dell'omonima pirata, che assomiglia a un galeone appeso a un dirigibile.


Ma parlare di Matsumoto rischia di far salire troppi ricordi e l'inevitabile lacrimuccia di malinconia. Quindi lo rimettiamo in quella parte speciale del  nostro cuore e andiamo avanti...

... per fermarci poco lontano con Capitan Futuro, altra serie mitica di quegli anni, e ispirata alle storie di Edmond Hamilton degli anni '40 e '50. Quella che nei romanzi era descritta come un velivolo a forma di goccia, nell'anime di Katsumata del 1978 diventa un'astronave che prende di sicuro ispirazione alla Discovery di 2001: Odissea Nello Spazio.



Parliamo un attimo degli I-400. Niente fantascienza: si tratta di sommergibili-portaerei giapponesi della seconda guerra mondiale. Sono stati i più grandi sommergibili costruiti, almeno fino a quelli a propulsione nucleare. Ne furono costruiti solo una manciata, e nel 1944: troppo tardi per essere impiegati a dovere.
Pensateci un attimo: portaerei che trasportano aerei sotto il mare. Dal mare al cielo – è un percorso già fatto dalle (astro) navi di Leiji, e che viene seguito anche dal Gotengo (Atragon), il sottomarino (derivato dagli I-400) capace di volare e che affronta Godzilla e altri kaiju in diversi film giapponesi. Non è un'astronave, ma lo ricordiamo perché a esso si ispira invece Gohten, il velivolo spaziale usato dai terrestri per combattere contro gli alieni di Messiah 13 nel film Wakuseidaisenso della Toho. Sia la Gotengo che il Gohten hanno un'enorme trivella sulla loro prua – un design che poche astronavi possono vantare.

Il Gotengo

Il Gohten

In Knights of Sidonia (2009) appare l'omonima astronave Sidonia, una nave colonizzatrice terrestre fuggita dalla Terra devastata dagli alieni Gauna. È un colosso di 29 chilometri di lunghezza con un oceano interno e un asteroide attaccato addosso da usare come miniera. È stata concepita da Tsutomu Nihei, che ci aveva già abituato a scenari immensi e allo stesso tempo opprimenti con Blame!

La Sidonia nello spazio

Schema dell'interno della Sidonia

La città "verticale" dentro la Sidonia

Restando sempre nel campo delle astronavi gigantesche non possiamo dimenticare la Super Dimensional Fortress 1 della serie Macross (SDF-1). In Italia negli anni ottanta guardavo la serie Robotech, che è nata dalla fusione di tre anime: Macross, Southern Cross e Kiko soseiki Mospeada. Non so come o a chi è venuto in mente di fare una cosa simile, so solo che a distanza di decenni mi resta il ricordo di robotoni che si sparavano addosso, che è la cosa più importante.
La SDF-1 aveva al proprio interno un'intera città giapponese e si poteva trasformare in un robotone da combattimento. Cosa si può pretendere di più?


Per restare in tema di Robotoni mi segnalano la Base Bianca SCV-70 della serie Gundam (1979), una porta-robotoni spaziale. Da notare come non manchino una torretta e antenne varie in stile "Leiji-navale". Confesso che non ho mai seguito molto questa serie, ma da una ricerca su internet sembra che la Base Bianca non si trasformi in qualche forma di robotone. Peccato.

Per finire la serie astronavi/robot, mettiamoci dentro anche Goldrake (1975) che andava in giro a bordo di un UFO.


Tornando nell'ambito marinaro tanto caro ai giapponesi, citiamo il Nautilus e il Nuovo Nautilus di Il Mistero della Pietra Azzurra. Si tratta più che altro del "solito" sommergibile volante che tanto piace ai giapponesi, costruito su design di astronavi atlantidee.




E a questo punto mettiamoci dentro anche Blue Noah, un altro sottomarino trasformato in astronave, nell'omonima serie del 1979. 

L'elenco potrebbe essere lungo, finiamo qui citando la Nadesico della serie Kidou Senkan Nadeshiko (1996). L'anime è una citazione e parodia di moltissime serie giapponesi. La Nadesico per forma e funziona rimanda a Gundam (ha pure i colori della White Base), Macross (per come salta nell'iperspazio) e Yamato (per l'arma spaziale e perché richiama la Yamato Nadeshico, l'idea di bellezza femminile giapponese).


Viene da chiedersi come mai i giapponesi siano così fissati con i sommergibili. Ho chiesto aiuto al buon Zeno Saracino del blog Cronache Bizantine, che mi ha segnalato alcuni interessanti articoli sull'arrivo della fantascienza in Giappone. In breve, i giapponesi si sono innamorati di Verne a fine 1800, tanto che una delle serie di romanzi di maggior successo a inizio novecento dalle loro parti è stata quella di Kaitei gunkan ("La nave da battaglia sommergibile") di Oshikawa Shunro, dove appare appunto un sommergibile ultra-avveniristico. La presenza di tanti sommergibili volanti deriverebbe quindi, è l'idea che mi sono fatto, da un primo amore dei giapponesi per Verne.